Questa è la testimonianza di Aurora, seguita in FFM Venezia Mestre, che rappresenta un tentativo di dire qualcosa sulla propria sofferenza piuttosto che limitarsi ad agirla direttamente sul corpo attraverso l’anoressia.
Lo scritto parla di come sia difficile e doloroso affrontare e gestire quel processo di separazione dall’Altro, dal suo volere, quel processo di individuazione dei propri desideri distinguendoli da ciò che gli altri vogliono da noi.
“Non so molto bene da dove iniziare quindi inizierò dal principio.
Sono sempre stata una bambina serena, o così mi dicono
Sono sempre stata una bambina felice, o così mi dicono
Sono sempre stata una bambina sorridente, o così mi dicono
Mi hanno sempre tutti riempito la testa di tante considerazioni, troppe, talmente tante che a volte faticavo a riconoscere ciò che volevo io da ciò che gli altri volevano da me
ma io cosa pensavo?
beh, ora che conosco come sono andate realmente le cose, penso che fosse tutto una grande frottola, e no, non ero la bambina sempre serena felice e sorridente che tutti conoscevano, o che almeno credevano di conoscere
nascondevo dentro di me un dolore ed un disagio talmente forti che avrei fatto di tutto pur di strapparmeli di dosso, proprio come tante volte ho pensato di strapparmi di dosso il grasso dalle cosce
vivevo in una realtà che mi stava così stretta che avrei fatto qualsiasi cosa in mio potere pur di cambiarla
un muro davanti a me
mi siedo alla scrivania della mia cameretta ed inizio a creare la mia vita,
una vita studiata a tavolino in cui decidevo io le regole e i divieti
la scacchiera era pronta, le pedine allineate,
ricorda, inizia prima il bianco,
3,2,1 che inizi il gioco
e così ho iniziato a giocare dimenticandomi però che se giochi da solo l’avversario non puoi che essere te stesso
bianco nero bianco nero bianco nero
ma io da che parte stavo?
chi dovevo far vincere?
e così mi sono persa in una partita infinita contro me stessa
tic tac tic tac tic tac tic tac tic.
L’orologio si è fermato,
io l’ho fermato
ho voluto calcificare la mia vita
fermare tutto,
io volevo continuare a giocare
la vita va avanti, non puoi metterla in pausa, il tempo scorre, e, tic tac tic a tac tic tac tic tac…
ma io voglio continuare a giocare,
sto bene nella mia cameretta
mi sento coccolata dai pupazzi che mi circondano, ho paura del mondo là fuori
non voglio fermare il gioco,
e se mi alzo dalla scrivania e volto la testa verso la porta cosa succede?
a questo ci pensiamo domani, ora sono troppo stanca per farlo.”
È proprio quando iniziamo a separarci dall’Altro che incontriamo la questione della dipendenza: quanto abbiamo bisogno dell’Altro, quanto lo amiamo, quanto abbiamo paura di fare da soli e rimanere soli. È una realtà che stava così stretta ad Aurora, così complessa da affrontare, che ha deciso di adottare una soluzione che le permettesse di controllare la sua vita, ciò che le sfuggiva, ingaggiando così una lotta con tale realtà che, tuttavia, si è rivelata solo un combattimento con sé stessa. Importante è, ad un certo punto, potersi chiedere qualcosa sul proprio modo di fare, domanda che può nascere attraverso un percorso di terapia, all’interno di uno spazio di parola.
È solo dandosi la possibilità di aprire una porta che si può intravedere cosa c’è fuori. Se non lo facciamo, come potremo mai sapere cosa ci stiamo perdendo, di cosa ci stiamo privando?
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