In questa lettera Angelica si rivolge al proprio corpo che, in chi soffre di un disturbo alimentare, è il primo a subire tutte le conseguenze della sofferenza interiore della persona. Il corpo diventa uno strumento e viene dimenticata l’importanza del suo equilibrio, del suo benessere.
La fase in cui la persona può tornare a vedere il proprio corpo, ad accorgersi di lui, a tenerlo in considerazione e a volergli bene è fondamentale. Si crea così uno spazio per lavorare sulla sofferenza che il proprio corpo esprime, indicibile a parole.
Dott.ssa Chiara Cecchetti
Food For Mind Mestre Venezia
Caro corpo,
io e te non siamo mai stati molto amici, non siamo mai andati troppo d’accordo.
Fin da piccola ti ho disprezzato, perché eri diverso da quello delle mie amiche. Non mi piaceva quasi niente di te, né le gambe, né le braccia cicciotte, né la pancia, né la cellulite. Ad un certo punto ho anche odiato la faccia, le guance, i capelli, le uniche parti che inizialmente mi piacevano.
È per questo che ho deciso di cambiarti, perché non mi piacevi, perché ti volevo diverso, senza rendermi conto però che lo stavo facendo nel modo sbagliato, nel modo che avrebbe portato a questa presenza costante nella mia vita, a questa voce influenzante capace di guidare le mie giornate.
Però, tu cambiavi e diventavi sempre più bello, le persone ti apprezzavano di più, ti dicevano che eri un bel corpo. Per cui io ho creduto di fare la cosa giusta e provavo soddisfazione a vedere come diventavi.
Ti privavo di tutte le cose buone, ti sforzavo in palestra cercando di bruciare più calorie possibili, cercavo di darti il “mio” minimo per sopravvivere e tu piano piano hai esaurito le risorse. Ti ho fatto tanto male, a volte lasciandoti senza cibo per giornate intere all’università in modo da risparmiare calorie per mangiare a cena, quando non potevo nascondermi dagli occhi dei miei, ed ero costretta a ingerire qualcosa.
I miei ricordi sono offuscati, non so bene come sia successo. Ma io mi vedevo sempre meglio, per me tu eri sempre più bello, anche se non riuscivo a stare seduta sulle sedie di legno per l’osso che batteva, anche se avevi i lividi sulla colonna vertebrale per gli addominali fatti a terra, anche se le persone avevano paura di abbracciarmi pensando di farmi male, anche se tutti ti dicevano che stavi scomparendo.
So di averti fatto tanto male, so di continuare a farlo.
Ma ora ascoltami, per favore. Tutte le volte che mi chiedi del cibo in abbondanza, ti prego non farlo. Fidati di me, ormai non te lo tolgo più, te lo prometto. Ogni volta che me lo richiedi con quella foga sei tu a farmi stare male. Ok, avresti anche ragione dopo il modo in cui ti ho trattato, ma perdonami, ti prego, non farlo. Non riesco a gestire questa tua smania di cibo, questa richiesta angosciante che arriva tutta d’un tratto e non lascia scampo. Devi fidarti, sono qui per collaborare con te. Troviamo insieme un equilibrio. Ti darò quello di cui hai bisogno, hai la mia parola. Non devi aver paura di rimanere senza, ho capito i miei errori, e capisco perché ora cerchi di ingozzarti quando ne hai la possibilità, ma fidati ti prego.
Volevo anche essere chiara con te: non mi piaci ancora, forse non mi piacerai mai, ma ora ho capito che sei così, che non posso renderti diverso, o meglio, lo posso fare ma lo devo fare con equilibrio, pensando alle conseguenze e in modo salutare.
Non mi piaci quando hai la ciccia, quando posso prendere i rotolini dalla pancia o pezzi di coscia tra le dita, ti preferisco magro, con le ossa che si vedono e il bacino sporgente. Però forse così tu stai male. Allora, facciamo una via di mezzo? Facciamo un patto?
Voglio però ringraziarti perché mi dai la possibilità di fare tante cose, mi fai correre, scalare le montagne e mi dai l’energia per visitare il mondo, per viaggiare, ciò che più amo fare. E io, ora, non voglio deluderti. Mi hai accompagnata nei miei viaggi da sola, sei stato un compagno. Ti va ora di diventare mio amico?
Scusa per quello che ti ho fatto e per quello che, a volte, faccio ancora; riconquisterò la tua fiducia, di nuovo.
Mi dispiace per averti fatto stare male, perché nessuno si merita di essere trattato così.
Mi dispiace per essermi vergognata di te e per continuare a vergognarmi.
Mi dispiace di aver passato anni ad odiarti e a volerti strappare la ciccia di dosso.
Mi dispiace di non averti nutrito come avrei dovuto.
Mi dispiace di essermi sfogata su di te, di averti tolto l’essenziale per funzionare.
Mi dispiace per aver fatto di tutto per renderti sempre meno, fino a renderti quasi invisibile, leggero e piccolo, per occupare meno spazio.
Mi dispiace di continuare a ritenerti sempre “troppo” e di non accettarti mai.
Mi dispiace se ti ho punito quando mi hai chiesto più nutrimento.
Mi dispiace se ti ho costretto ad essere sempre in azione anche se mi chiedevi riposo perché eri stremato.
Mi dispiace per aver ignorato i tuoi segnali e di averti tolto quasi tutte le funzioni vitali.
Mi dispiace per aver mangiato fino a farti scoppiare, perché non riuscivo a vedermi dentro di te.
Mi dispiace per farlo ancora, qualche volta.
Mi dispiace per aver passato anni - e passare ancora tempo – a guardarti allo specchio e a provare ribrezzo quando invece dovrei apprezzarti.
Mi dispiace per essermi fatta e farmi tuttora paranoie sulle gambe grosse, sulla cellulite e su quella dannata pancia, sul peso.
Mi dispiace per paragonarti sempre al corpo degli altri e per desiderare sempre di avere quello di qualcun altro.
Tu sei unico, devo imparare ad accettarti, ad apprezzarti, ad amarti, perché mi permetti di essere ciò che sono.
Grazie, per non avermi abbandonata, sei tutto ciò che mi resta.
Angelica
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